De iure belli ac pacis (prima edizione nel 1625, ultima nel 1646) è il capolavoro di Ugo Grozio, che ne ha tratto fama immensa e duratura. La vastità e la complessità del libro ne hanno a lungo rimandato la traduzione italiana completa: questa che vede la luce – a cura di Carlo Galli e Antonio Del Vecchio, e con il concorso di un team di studiosi, autori delle traduzioni e delle ricche introduzioni – è la prima edizione integrale nella nostra lingua.
Grozio – che fu definito “la coscienza giuridica d’Europa” – dispiega qui tutto il suo prodigioso sapere multilinguistico e multiculturale. Attingendo all’antichità greca, romana, ebraica, alla tradizione cristiana dai Padri della Chiesa fino alla Seconda Scolastica, attraversando il medioevo germanico, confrontandosi con Gentili e Bodin, convocando diritto, filosofia, storiografia, politica, teologia, Grozio ricostruisce, in migliaia di esempi, i tratti fondamentali del diritto naturale e del diritto delle genti. La ragione moderna mostra qui la capacità di svolgere in modo autonomo, e di secolarizzare, l’eredità del proprio passato, e di saper fornire ai nuovi protagonisti della storia, il soggetto proprietario e lo Stato sovrano, gli strumenti intellettuali e pratici per orientarsi nella pace e nella guerra, per riconoscere e dominare – nel formidabile laboratorio del XVII secolo – la trama naturale e razionale dell’essere.
Attraversare tutta la storia per ottenere la legittimazione giuridica della prassi politica ed economica moderna: questo è il compito che Grozio si è assegnato, e che ha svolto, fondando il giusnaturalismo e il diritto internazionale, in questo testo di significato epocale di cui ora il lettore italiano può valutare l’arditezza di concezione e i tratti di attualità.